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Riflessioni

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MILLEPIANI, COWORKING, SHARING

Che cos’è il progetto Millepiani?

Prima di tutto l’affermazione di un principio: la restituzione di risorse al lavoro, attraverso il riuso dei beni pubblici inutilizzati. Non sottrarre quindi più risorse al lavoro stesso per alimentare la rendita immobiliare parassitaria e socialmente improduttiva. Ora questa pratica può risultare insufficiente al fine di creare un reddito che sostenga adeguatamente i coworkers. Di fronte ad una caduta di domanda di beni e servizi, materiali o immateriali che siano, le innovazioni organizzative o di processo, possono allungare i tempi di agonia, ma senza uno sbocco dei beni o servizi prodotti sul mercato, il destino è segnato.

Qui la strada si biforca.Si può mettere a valore questa nuova organizzazione sociale e produttiva, attraverso il finanziamento pubblico che, erogato in quanto gli Enti pubblici, costretti da necessità impellenti in tema di risposte da fornire alla cittadinanza su occupazione e reddito, attivano a loro volta politiche tese alla riorganizzazione produttiva, che inevitabilmente andranno ad infrangersi contro la caduta della domanda. Anche qui si prolunga sostanzialmente l’agonia, sia della politica, come delle strutture demandate a realizzare le politiche stesse.Si può anche “vendere” il servizio in forma privata (l’attivazione di contenitori di spazi a pagamento),con il giusto brand innovativo, ma anche qui, il destino è segnato.
Oppure si riattiva la domanda congiuntamente alla riorganizzazione e razionalizzazione dei processi produttivi.Già, riattivare la domanda significa sostanzialmente essere in possesso di risorse da spendere sul mercato, questo all’interno di un’organizzazione socioeconomica, definita società della disuguaglianza, che vede sempre più la concentrazione di ingenti risorse in poche mani, con una crescita esponenziale di meccanismi di esclusione, a fronte di un’incapacità dei sistemi di welfare nazionali di individuare e intercettare i flussi finanziari, per, nel migliore dei casi, permettere di attivare politiche redistributive. A fronte di questo scenario bisogna inquadrare la nuova vulgata e le varie retoriche del capitalismo postindustriale, che nutre la cittadinanza passiva di acceleratori, start up di impresa, community manager,mentor, figure e strutture che vivono di promesse su futuri guadagni, ma che nell’attualità sostanzialmente si nutrono di finanziamento pubblico (nel primo caso descritto) o di venture capital che si appropriano del lavoro gratuito di giovani (e non) in cerca di futuro (sempre più improbabile…).