#coglione NO! Reddito, cittadinanza, diritti per i lavoratori free lance 
#COGLIONE NO!

Reddito, cittadinanza, diritti per i lavoratori free lance
17 aprile alle ore 17.30 a Millepiani Coworking / Via Nicolò Odero 13 – Garbatella, Roma

“#coglioneNo è la reazione di una generazione di creativi alle mail non lette, a quelle lette e non risposte e a quelle risposte da stronzi.
È la reazione alla svalutazione di queste professionalità anche per colpa di chi accetta di fornire servizi creativi in cambio di visibilità o per inseguire uno status symbol.
È la reazione a offerte di lavoro gratis perché ci dobbiamo fare il portfolio, perché tanto siamo giovani, perché tanto non è un lavoro, è un divertimento.
Questo gennaio ZERO vuole unire le voci dei tanti che se lo sentono dire ogni volta. Vogliamo ricordare a tutti che siamo giovani, siamo freelance, siamo creativi ma siamo lavoratori, mica coglioni”.

Dal sito: zerovideo.net/coglioneno >>

Parliamo dei compensi e dei redditi dei cosiddetti “creativi”, lavoratori a tutti gli effetti, vittime della retorica del self made man, e a tutti gli effetti privi di tutele, welfare, rappresentanza e soprattutto strumenti per far valere i propri diritti di lavoratori. Vogliamo però andar oltre la denuncia, e costruire delle risposte concrete e opertative, e soprattutto dotarci di strumenti per far valere i nostri diritti di lavoratori..

I relatori

Presentazione degli spot della campagna #coglioneNO da parte di ZERO

Lo scenario
Lavoratori free lance e microimprese: i numeri della crisi /Lorenzo Tagliavanti, vicepresidente CCIIAA di Roma

Le esperienze
OuiShare – Connecting the Collaborative Economy /Tomas Mancin ouishare.net >>
L’unione fa la forza: i coworking, laboratori territoriali della condivisione /Luca Casarini, coworking Re Federico di Palermo, coworkingpalermo.net >>
“Evermind”, la co-agency creativa /Francesco Biacca, Evermind srl evermind.it >>
La condivisione delle esperienze di pagamento e la reputazione aziendale: Virtubuzz.com /Andrea Ragno, Promobit srl, virtubuzz.com >>

Gli strumenti
Creative Commons e gestione SIAE: l’esperienza dei circoli Arci /Carlo Testini, responsabile cultura Arci Nazionale
Presentazione del progetto di crowdsourcing “Piattaforma contest creativi di design di comunicazione visiva” /Millepiani coworking/Aiap

Si può fare…
Co-creazione e finanziamenti dal basso: la piattaforma di crowdfunding Eppela /Fabio Simonelli, Eppela eppela.com >>

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Lo scenario

I lavoratori indipendenti in Italia rappresentano il 23% dell’occupazione complessiva, contro una media dei Paesi dell’Europa occidentale del 14% (dati Eurostat, 2011). In questo comparto sono occupati circa 6 milioni di italiani (5 milioni e 700 mila, dati ISTAT 2010). Il dato italiano risulta superiore non solo guardando i piccoli imprenditori e i lavoratori in proprio, ma anche per i lavoratori ad alta qualificazione professionale (esclusi insegnanti e docenti universitari del settore pubblico): ben 1 professionista su 2 è indipendente, contro una media europea del 18,5.

Valiamo “zero”?

L’argomento è noto a tutti: quando un cliente non ti vuole pagare, ha tutto le possibilità per farlo, e i lavoratori non hanno alcuno strumento di difesa. La cosa è sempre più diffusa, laddove “la merce” che ci si scambia ha uno statuto immateriale. Parliamo quindi in generale a tante categorie, sottotitolate “lavoratori della conoscenza”, che spaziano dalla cultura alla ricerca, dal design all’informatica, dagli operatori dei media a quelli dello spettacolo, dai servizi alle imprese a quelli alla persona. Ma non è solo un problema italiano, dove questo pseudo committente non è di fatto perseguibile per legge: assistiamo ad una nuova offensiva a livello mondiale che colpisce i diritti del lavoro in generale, attraverso dispositivi di soggezione e di controllo delle forze produttive.

Siamo tutti consapevoli di una cosa, come ci ricordano gli autori dei video, siamo arrivati allo ZERO, in termini di reddito, di prospettive, di sviluppo, di progettualità. Stiamo assistendo non ad una crisi ciclica del capitalismo, ma al tramonto di un modello di sviluppo. Crediamo che proprio i “lavoratori della conoscenza” debbano reagire a questo stato di cose, proponendo e praticando esperienze che si lascino alle spalle i modelli dell’impresa appropriativa, individualista, fondata sul possesso dei mezzi di produzione e dei saperi, ma è necessario avanzare verso la cosidetta cultura “open”, della condivisione, della cooperazione sociale.
Partiamo dalle esperienze concrete di “pezzi” di questa nuova socialità: dai coworking, ai FabLab, fino ai gruppi internazionali che praticano la share economy. Sono tutte pratiche non ascrivibili solo ad una nuova e più efficiente organizzazione delle forze produttive, ma ad un vero e proprio nuovo modello di impresa e di socialità, improntati sulla decrescita, sul riuso e non sul consumo, sull’impiego di energie rinnovabili, su un uso “smart” delle tecnologie al servizio dei bisogni reali dei cittadini, con una nuova consapevolezza che “gli utenti” sono i veri protagonisti della nuova economia, semprechè mobilitati da processi di partecipazione e di condivisione.

Una nuova piattaforma per i contest nel design della comunicazione visiva

Proponiamo in questo incontro un progetto che vuole tenere insieme la share economy, il riconoscimento della professionalità, e l’innovazione.
Nel design di comunicazione visiva, come in altri settori del lavoro professionale, la crisi economica si è fatta sentire: calano i compensi, le commesse, sembra che il professionista del design non serva più a nessuno, prevale un “fai de te” che mortifica la qualità dei prodotti.
Sono in crisi i sistemi tradizionali che regolano la domanda e l’offerta: proliferano piattaforme che propongono contest a cui partecipa una platea mondiale di designer.
Il cliente fissa un prezzo per un lavoro, espone un breafing, e i designer caricano le proposte. Il cliente si può trovare così ad esaminare centinaia di progetti.
La possibilità di essere remunerati è molto bassa (la concorrenza è mondiale), viceversa per il cliente è un grande vantaggio avere con un prezzo prefissato da lui stesso una enorme quantità di elaborati…
Quello che potrebbe essere un mezzo innovativo di contatto/confronto con la commitenza diventa viceversa un cappio al collo per i designers.
Riteniamo che l’impostazione di queste piattaforme di contest viaggi su una logica competitiva, in cui sostanzialmente viene remunerato solo “il vincitore”, viceversa, tutte le proposte presentate, che forniscono al cliente un utile orientamento, non vengono remunerate. Ciò è ascrivibile alla crisi del settore in generale, ma in questa crisi vengono ridefiniti i rapporti di forza tra capitale e lavoro, a tutto svantaggio di quest’ultimo.

Riteniamo viceversa che le piattaforme web che propongono contest nel design della comunicazione (come in molti altri settori), potrebbere essere uno strumento innovativo per l’accesso da parte dei professionisti alle commesse, sempre che vengano riconosciute le competenze, certificata la qualità delle proposte, e queste vengano remunerate adeguatamente.

E chi paga?

Superiamo anche questo, rendiamoci indipendenti: “Noi siamo il 99 per cento” è uno degli slogan di Occupy Wall Street, ed è vero. Non aspettiamo l’interesse del politico di turno di ritagliarsi una sua clientela, non aspettiamo il mecenate illuminato. Il crowdfunding è una realtà, abbiamo la possibilità di coinvolgere una community vastissima i cui protagonisti sono delusi e umiliati ma pronti ad alzare la testa se coinvolti in processi decisionali orizzontali e collaborativi. Paghiamo (poco) tutti noi, perché i diritti si conquistano con l’impegno, la perseveranza, con l’esporsi in prima persona.

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