Tomato Blues 
MOSTRA FOTOGRAFICA >> TOMATO BLUES

una mostra fotografica sulla condizione dei braccianti agricoli immigrati nel Tavoliere delle Puglie.
organizzata dall’Associazione >> Universarte
fino al 31 gennaio
Millepiani Coworking / Via Nicolo’ Odero n.13, 00154 Roma

I relatori: l’On. Kahlid Chaouki, Lorenzo Ciccarese, Giancarlo Rolandi di Slow Food Roma, Daniele Calamita della FLAI CGIL di Foggia, Francesca Mancini di Radio Ghetto e Beppe D’Argenzio dell’Orchestra di Piazza Vittorio. La ‘ManCon’Blues’100′s’Acoustic’Band si esibirà dal vivo.

Contesto

Il Tavoliere delle Puglie (provincia di Foggia) è una delle maggiori aree di produzione agricola d’Italia: è il primo centro di produzione cerealicola d’Italia e il secondo centro di produzione industriale di pasta del mondo (sede delle industrie trasformatrici della Barila e di altre multinazionali dell’alimentare), nonché uno dei maggiori luoghi di produzione di ortaggi a livello mondiale, pomodori in particolare.
L’agricoltura dell’area, pur fortemente industrializzata, si avvale ancora dei braccianti per la raccolta manuale degli ortaggi, in particolare dei pomodori, e ciò per l’impossibilità di ottenere risultati analoghi con le macchine (sensibilità del prodotto alla ‘durezza’ dei macchinari industriali).
Il lavoro di raccolta impiega i braccianti in forma stagionale, in particolare nel periodo estivo e nei primi mesi autunnali. La sede locale della FLAI-GCIL stima in 80.000 la forza lavoro bracciantile impiegata stagionalmente nel Tavoliere. Il lavoro bracciantile impiega in eguale misura italiani e immigrati, e fra quest’ultimi, sia regolari che irregolari.
I lavoratori sono soggetti a condizioni di lavoro estenuanti, quasi sempre senza tutela sindacale e quasi sempre sotto scacco dei proprietari terrieri, a loro volta sotto scacco delle grandi imprese di trasformazione, uniche vere beneficiarie del sistema di sfruttamento. All’interno della categoria bracciantile, gli immigrati sono particolarmente vessati, e versano in condizioni non dissimili da quelle dei raccoglitori di cotone al tempo dello schiavismo nell’America dell’800.
A paghe da fame, spesso non corrisposte alla fine del periodo estivo di lavoro con la scusa che mancano i documenti (strano però che al momento dell’assunzione i documenti non vengano richiesti!), corrisponde una situazione abitativa vergognosa per un paese civile.
Il Tavoliere è costellato di campi residenziali temporanei, vere e proprie baraccopoli improvvisate di 2000, 3000, 4000 persone, abitati da immigrati sia irregolari sia ‘comunitari’; in alcune vi è una prevalenza maschile, in altre c’è una presenza cospicua di donne e bambini.
I campi sono spesso senza luce e acqua; in alcuni casi sono circondati da discariche abusive prodotte nel tempo dai loro stessi abitanti e in generale versano in condizioni igieniche che non ‘sfigurerebbero’ in un racconto Dickensiano, con bimbi di 3 o 4 anni che giocano nei rifiuti, con ratti di 30 o 40 centimetri come animali domestici!
Un cono d’ombra mediatico copre tutto ciò, a manifestare, più che il disinteresse, la volontà di nascondere e negare cose c’è davvero alla base della nostra industria alimentare.

Scopo della mostra

Nell’anno in cui l’EXPO 2015 di Milano celebra il tema dell’Alimentazione, sono rari gli sguardi scomodi sulla nostra industria alimentare. La mostra fotografica vuole aprire uno squarcio nel pesante velo che copre la nostra consapevolezza di cittadini e consumatori.
Coscienti dell’ampiezza del tema, abbiamo focalizzato il nostro sguardo su un singolo aspetto del fenomeno, ossia sulle condizioni abitative degli braccianti immigrati nei campi residenziali temporanei, sperando che tale angolo visuale, seppure limitato, possa stimolare una discussione civile e democratica.

I luoghi degli scatti

Abbiamo selezionato una serie di fotografie scattate in due dei suddetti campi. Queste bidonville stagionali tendono a riunire immigrati provenenti da aree geografiche contigue, in una riproposizione ‘etnica’, e quindi spaventosa in sé, della divisione del mondo fra ricchi e poveri, fra razze e ‘sottorazze’.

Il campo di Borgo Mezzanone (circa 10 chilometri a su di Foggia)
E’ un campo abitato prevalentemente da immigrati irregolari dall’africa anglofona. Il campo si estende su un vecchio aeroporto militare in disuso ed è composto da container metallici resi roventi sotto dal sole dell’estate pugliese. Accanto ai container, alcune costruzioni in muratura sono state adibite a bagni pubblici, con acqua corrente. Uno di questi bagni pubblici è stato trasformato in una piccola chiesetta battista, in cui risuonano gospel e preghiere più urlate che recitate: è un luogo di catarsi e di esplosione della rabbia del residenti.
Ironia della ‘sorte’, il campo sorge proprio ai confini di un Centro di prima accoglienza per rifugiati politici, un CARA sovvenzionato dallo stato: una prigione in cui però la condizione dei detenuti è notevolmente migliore di quelle dei ’liberi’ clandestini.

Il campo di Manfredonia (circa 10 chilometri ad est di Foggia)
Il secondo è un campo che, seppur difficile da immaginare, presenta condizioni ancora peggiori del primo. E’ abitato da bulgari, quindi da ‘regolari’, in quanto cittadini dell’Unione europea.
Il campo è una bidonville improvvisata e costruita con materiali di scarto, circondato da una discarica a cielo aperto.
A differenza che nel primo campo, manca acqua corrente ed elettricità, e i residenti suppliscono andando a riempire taniche d’acqua nei paesi vicini e alimentando le baracche con generatori improvvisati o con le batterie di auto scassate.
Inoltre, a differenza del primo campo, qui sono presenti nuclei familiare compositi, con donne, anziani e moltissimi bambini.

Struttura della mostra

La mostra consisterà in un numero variabile (fino a 25) di fotografie in bianco e nero in formato 420 x 594 millimetri (A2), a seconda dello spazio.
Vi saranno cartelli esplicativi sintetici, per chiarire il contesto e le condizioni ambientali.
Ad ogni fotografia verrà attribuito un titolo.
Lo spazio potrà avere un suono di sottofondo, costituito da suoni d’ambiente e da interviste ad alcuni braccianti. Tale colonna sonora andrà in loop e fornirà un’atmosfera’ del luogo, creerà cioè l’impressione di un’esperienza, più che una comunicazione informativa o giornalistica.

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